Bovo, un giusto nelle mani di Dio

di Adelio Pistelli

28/03/2012

Bovo, un giusto nelle mani di Dio
"Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Vigor Bovolenta era un giusto e queste parole del Vangelo sono altre e più preziose medaglie per il centrale di Taglio di Po che non c’è più. Già, questo paesino in provincia di Rovigo, dove si conoscono tutti e dove tutti conoscevano la bontà del Bovo nazionale e le sue imprese sportive, questo pomeriggio s’è fermato e la sua piazza principale, davanti alla chiesa parrocchiale San Francesco d’Assisi, ha regalato una immagine surreale: migliaia di persone, sotto il sole, in silenzio a seguire una cerimonia che nessuno avrebbe mai voluto seguire.
Fuori, sulla piazza ‘solo’ chi non era riuscito ad entrare in chiesa, cioè i tantissimi che erano vicino più vicino a quella bara avvolta nel tricolore, ‘guardata a vista’ dai familiari (la moglie, i genitori, la sorella) e da Zlatanov, Papi, Giombini, Rosalba, Savani, cinque inseparabili ‘fratelloni’ del Bovo nazionale, che avevano preso la bara al suo arrivo e, accompagnata in chiesa, insieme al priomogenito di Vigor, Alessandro.
Intorno, in un ambiente frastornato, carico di amarezza e rabbia, c’era il mondo della pallavolo (e non solo), con tanti tantissimi giocatori di ieri (da Bernardi a Zorzi, a Bracci a Pasinato, Vullo, Gardini, Sartoretti, Giani e altri ancora) e giocatori di oggi (Meoni, Travica, Cisolla, Paparoni, Boninfante, Fei, Farina, Buti, Gavotto e altri ancora). Il presidente Federale Carlo Magri, l’amministratore delegato della Lega Massimo Righi e poi allenatori, di ieri e di oggi. Visti, emozionati, Velasco e Anastasi, i tecnici che hanno allenato il Bovo in azzurro, dirigenti importanti e significativi nella carriera di Vigor di ieri e di oggi e tanta, tanta gente ancora.
E a proposito di dirigenti, bella l’immagine di Peppone Brusi, meraviglioso esponente di una Ravenna che non c’è più. Guardarlo era lo specchio dell’emozione e dell’incredulità davanti a questa tragedia arrivata improvvisamente in un maledetto sabato sera. Lui, l’uomo che aveva portato a Ravenna il Bovo appena diciassettenne, era lì a guardare quella bara, in silenzio, immerso in mille e più pensieri. Come un po’ tutti, dentro e fuori la cattedrale, mentre su una parete della chiesa stessa, una maxifotografia di Vigor che sorrideva (in maglia azzurra) dopo aver regalato uno dei sui tanti muri vincenti. Emozioni, amarcord, amicizia, concretezza nelle parole rilanciate durante la Santa Messa, seguiti all’esterno con altoparlanti dislocati un po’ dovunque. E anche in via Rossini, dove il Bobo abitava da ragazzino, sono arrivate le parole del parroco di Taglio di Po: “Lo ricordo quando, una decina di anni fa, venne da me per preparare il suo matrimonio. Eccola la medaglia più bella: la sua famiglia, alla quale ha regalato sempre bontà e distensione”. Già, la famiglia, assorta nel suo dolore, contenuto, terribile, sconvolgente per i genitori e per una moglie (Federica) straordinaria nel salutare il ‘suo’ Bovo davanti a tanti ‘amici’, come li ha definiti. “Dolore, sofferenza, lacrime? Non era un copione per Vigor e credetemi: è la verità. Posso dirlo, per averlo conosciuto meglio di tutti: era meravigliosamente perfetto come eravamo io e lui insieme. Come perfetti sono Alessandro, Arianna, Angelica e Aurora, i nostri figli. Ai quali dico: avrete tutto ciò che insieme io e Bovo avevamo programmato. Andremo avanti con il suo pensiero ed il suo sorriso. Grazie a tutti”.
Poi, l’uscita dalla chiesa, l’applauso dei tremila mentre accompagnavano il campione che, lentamente, entrava nel cimitero del suo piccolo grande Taglio di Po. Ad aspettarlo suo fratello Antonio, morto una ventina di anni fa e al quale Bovo aveva sempre dedicato i suoi trionfi. Adesso, ne parleranno insieme, lassù.
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