Ci ha lasciato l'ex ct azzurro Bebeto

14/03/2018

Paulo Roberto De Freitas detto Bebeto durante un time out dell'ItaliaPaulo Roberto De Freitas detto Bebeto durante un time out dell'Italia
Paulo Roberto De Freitas detto Bebeto durante un time out dell'Italia
Sport in lutto. Una notizia improvvisa scuote tutto il mondo della pallavolo italiana e internazionale, all’età di 68 anni è venuto a mancare a Belo Horizonte l’ex ct azzurro Paulo Roberto de Freitas, meglio conosciuto come Bebeto. Un lutto inaspettato  che priva il volley mondiale di una delle figure che maggiormente, tra gli anni 80' e 90', hanno segnato la nostra disciplina.
Nato il 16 gennaio del 1950 a Rio de Janeiro, Bebeto come giocatore di pallavolo ha vinto 11 titoli brasiliani per il Botafogo, prendendo anche parte con il Brasile ai Giochi Olimpici del 1976 a Montreal.
In qualità di Ct della nazionale verdeoro il risultato più importante è stata la medaglia d’Argento ottenuta alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Al 1990 risale il suo approdo in Italia, alla Maxicono Parma, club con il quale ha conquistato diversi scudetti e coppe.
Dopo l’era Velasco si è seduto sulla panchina della nazionale maschile vincendo: 1 World League 1997, il bronzo all’Europeo 1997 e soprattutto il titolo Mondiale del 1998, il terzo consecutivo per gli azzurri.
Negli ultimi anni si era dedicato al calcio, ricoprendo diverse cariche dirigenziali tra Atletico Mineiro e Botafogo. Da quanto riportano i media brasiliani, proprio durante un evento dell’Atletico-MG un infarto ha messo fine alla vita del grande tecnico brasiliano.
Da parte del portale dallarivolley.com e di tutto il mondo del volley italiano giungano alla famiglia di Bebeto le più sentite condoglianze. 
I numeri di Bebeto sulla panchina azzurra
Esordio: Roma, World League, 17/05/97 ITALIA vs JUGOSLAVIA 3-0
Ultima gara: Tokio, Mondiale, 29/11/98 ITALIA vs JUGOSLAVIA 3-0
Gare totali: 71
Vittorie: 52
Sconfitte: 19
Percentuali vittorie: 73%

Una serata tranquilla in famiglia dopo una giornata impegnativa. Din: arriva un messaggio. Poi.. din din din din, ne arrivano a decine prima ancora che riesca ad aprire il primo. Ma cosa è successo? La risposta è triste. È morto il grande Bebeto! Non voglio crederci… Poi rileggo, apro altri whatsapp, sms, social. Non può essere uno scherzo. Anzi, è uno scherzo, ma del destino. Purtroppo è la realtà, il destino stavolta è stato beffardo, e il mio cuore diventa triste, molto triste. Lo dico a mia moglie con il magone in gola. Eravamo amici, e gli ho voluto bene. Davvero. Non solo perché era simpatico, scanzonato, divertente, apparentemente leggero nell’affrontare la vita. In realtà era persona di incredibile intelligenza, spumeggiante e sorprendente come la sua pallavolo-champagne. Ci siamo conosciuti tantissimi anni fa, quando era il ct della Seleçao. E ho capito bene chi era dopo una conferenza stampa al Mondiale del 1990: il suo Brasile aveva appena perso la partita della vita, arrendendosi 15-13 nella in semifinale del Mondiale giocato al Maracanazinho e poi vinto dall’Italia. Ci siamo parlati qualche minuto a quattr’occhi, fuori dagli schemi, era molto triste ma lucido, e già stava pensando a pochi giorni dopo, quando sarebbe venuto in Italia per allenare la Maxicono Parma. Lì tutti hanno capito quanto straordinario fosse questo allenatore, chiamato a sostituire Montali dopo la conquista del Grande Slam: la sua squadra ha regalato una pallavolo indimenticabile, fatta di mille varianti tattiche, di soluzioni innovative dalla seconda linea, e l’anno dopo ha vinto uno scudetto inatteso contro titani come Treviso, Milano e Ravenna facendo giocare Giretto e Corsano contro Kiraly e Timmons, Cantagalli e Bernardi, Zorzi e Lucchetta. Un grande, in tutti i sensi. Affiorano nella mia mente tantissimi ricordi che mi legano a lui, tanti momenti condivisi, le pizzate infinite a parlare di pallavolo (pagate da me ovviamente…), la chiacchierata telefonica in diretta tv il giorno in cui avevo capito che sarebbe diventato il ct dell’Italia, la lunga notte passata insieme a lui e suo figlio Riccardo a parlare all’Hotel Porro di Salsomaggiore Terme la sera prima di partire per il suo primo Europeo da allenatore azzurro, la trasferta a Mestre per vedere un All Star Game e il mio implorare la polizia che lo aveva fermato fuori dall’autostrada e lui non aveva con sé i documenti dell’auto della Fipav, la cena nel terrazzo di casa mia quando abitavo a Reggio Emilia e la carne che ho bruciato sul barbecue costringendolo a mangiare una mozzarella, il meraviglioso titolo iridato conquistato con l’Italia a Tokyo nel 1998, il suo ritorno a casa senza neppure passare da Roma per i noti disaccordi con la Federazione che non ne aveva rispettato il ruolo. Gli ho voluto bene e lo dico senza parole di circostanza: lui lo sapeva, e quando tornava in Italia per salutare gli amici di Parma sapevo dove trovarlo: chiamavo Matteo Ferrari e rispondeva lui, si impossessava anche del suo cellulare. E’ venuto a trovarmi spesso, anche un giorno quando ero ancora in tv e la sua ospitata a Sky Sport 24 ha rappresentato un lampo di sole in un pomeriggio plumbeo di notizie: aveva contagiato tutti con la sua allegria, con le sue battute, con i suoi aneddoti. Mi ha fatto due grandi regali il Bebo, e questo ha confermato con i fatti il legame che si era creato tra due amici che potevano frequentarsi poco ma che erano sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Il primo è stato quando gli ho chiesto una testimonianza sul Mondiale vinto per “Le leggenda azzurra”, il libro che ho scritto sulla storia della nazionale maschile: lui che non aveva mai voluto tornare più su quell’argomento rifuggendo ogni intervista, mi ha mandato pagine di rara intensità e sincerità, togliendosi ovviamente anche qualche sassolino dalle scarpe. Era giusto così, e l’ho ringraziato infinitamente per quel suo gesto di affetto e di stima nei miei confronti. Ma la sorpresa più grande l’ha riservata nel gennaio 2016 a me e a tutti gli amici che avevo radunato a Modena per festeggiare la nazionale maschile: mai avrei creduto potesse venire, e invece quel giorno mi ha chiamato dalla Svizzera dicendomi che stava per prendere un treno per l’Emilia e che per nulla al mondo avrebbe voluto perdersi quel momento che ha condiviso con i personaggi più importanti della storia del nostro sport sedendo a lungo a fianco di Bruno, ospite d’onore e suo pupillo. Mi sono commosso, e quella sera gli ho fatto dire tutto quello che voleva: non un’intervista ma un monologo durato 15 minuti, bellissimi, veri, indimenticabili. Obrigado Bebo, rimarrai sempre dentro di me. Sono onorato di essere tuo amico per sempre. Lorenzo 
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