Comunicare la Filosofia

di Edoardo Dallari

18/01/2015

Edoardo DallariEdoardo Dallari
Edoardo Dallari
Essere entrato in un’aula liceale - del liceo classico “Allende” di Milano - quattro anni dopo essermi alzato da quei (da me parecchio amati) banchi non più come studente, ma per sedermi dall’altra parte, quella della cattedra, è stata un’emozione del tutto particolare. Non ho problemi ad ammettere che se fossi stato uno studente e mi si fosse presentato una mattina di fronte un ragazzino sbarbato ventunenne neo-laureato a pretendere di farmi una lezione su Platone la mia reazione sarebbe stata di spocchioso rigetto e le mie aspettative sarebbero state delle peggiori. La più grande soddisfazione è probabilmente l’essermi conquistato i ragazzi ed averli resi entusiasti di partecipare al discorso da me svolto (che è evoluto nel corso della mattina insieme alle loro domande). Posso dire che è stata la prima volta che mi si è presentata l’occasione di parlare di filosofia per introdurre gli ascoltatori in un orizzonte di senso nuovo e non avendo come fine primario l’essere valutato da qualcuno. Non è stato semplice: non mi era concesso presupporre nulla, il che mi ha consentito di scontrarmi con la necessità di abbandonare il più possibile la tecnicità del linguaggio filosofico per affrontare le questioni nel modo più immediato possibile (avendo avuto io stesso la possibilità di introdurre i termini secondo il mio giudizio più consoni), ricercando in continuazione la massima chiarezza, ovviamente nel limite del possibile. Probabilmente ciò che più mi ha colpito è stata la costante ricerca da parte dei ragazzi di incasellare tutto, di avere schemi precisi del concetto che viene espresso, ed è proprio questo che rende così complesso parlare di filosofia: quest’ultima intende rivolgersi alla sfumatura e procede mediate un costante domandare che porta a stravolgere ogni volta il cammino fino a quel punto percorso – lungi dall’essere tuttavia una mera masturbazione intellettualistica, essa si interroga sui rapporti più profondi che concretamente fondano il mondo.
Questo domandare deve essere la stella polare dell’insegnamento, tanto scolastico quanto sportivo: nell’istruire (in-struire) risuona l’imposizione del contenuto che viene veicolato, nell’educare invece si ascolta il timbro dell’autonomia di colui che impara e del ruolo di guida che l’insegnante deve interpretare,affinchè lo studente possa condurre fuori di sé (e-ducere: trarre fuori, condurre all’esterno) il suo pensiero e il suo modo di essere e possa così integrarlo, autonomamente, con quello di tutti coloro che lo circondano. Ognuno deve essere educatore per l’altro, non un anonimo e impositivo istruttore.
Sigla.com - Internet Partner