Raphaela Folie: gli esami non finiscono mai

dal sito www.theowlpost.it/

04/11/2017

Raphaela FolieRaphaela Folie
Raphaela Folie
Io e coach Mazzanti non incrociavamo lo sguardo da qualche tempo ormai. La mia frustrazione era arrivata ai livelli massimi e quando mi cercava di dare qualche indicazione facevo fatica a guardarlo dritto negli occhi. Lo sport è una giostra, una montagna russa fatta di fallimento e successo, di amore e odio. Comprensione ed incomprensione. Non si trattava certo di mancanza di stima, anzi! Con tutta probabilità si trattava dell’esatto contrario.   Allenatore e giocatrice, che condividono gli stessi obiettivi e che soffrono per un momento non proprio scintillante della squadra. In quella freddezza c’era una vagonata di voglia di vincere e di tornare ad eccellere. Un giorno, nella prima parte della stagione scorsa, ci siamo confrontati io e lui a viso aperto: Raccontami tutto Raph. È sempre stato diretto con me, questo è un bene, molto più che un bene.
Io facevo una gran fatica a trovare i miei ritmi, i miei appoggi e le mie classiche giocate. Il feeling tecnico con la squadra stentava a decollare e di questo un allentatore così esperto se n’era accorto facilmente. Già da qualche tempo si sapeva che coach Mazzanti a fine stagione avrebbe lasciato la panchina di Conegliano e si sarebbe seduto su quella più prestigiosa d’Italia. La mia stagione era iniziata come peggio non si poteva e creare un rapporto negativo con lui mi avrebbe potuto chiudere anche le porte azzurre. Ma, in quel momento, non me ne fregava niente. Ero arrabbiata, anzi incazzata. Non riuscivo ad esprimere il mio gioco ed ero caduta quasi in uno stato depressivo. Non mi andava neppure di uscire con le compagne, a me che sono sempre stata una di quelle che ama maggiormente vivere lo spogliatoio a 360 gradi. Nell’estate precedente ero stata letteralmente rapita dal progetto dell’Imoco: il coach stravedeva per me, mi parlava in toni entusiastici della nostra palleggiatrice: la Skorupa e io ero carica come una molla. Volevo vincere tutto e volevo farlo da protagonista.
Arrivo in ritiro a due settimane dall’inizio del campionato, ero stata impegnata con la Nazionale e ovviamente durante quel mese le mie future compagne si erano dedicate alla preparazione atletica. Per cui mi presento molto lontana dal 100 per cento della mia migliore condizione fisica, ma con un desiderio di cominciare mai provato prima in carriera. Il coach mi aveva dato 3 day-off per staccare prima di unirmi alle ragazze, ma neppure incatenata riuscivo a stare ferma dall’eccitazione e ho finito col farne uno solo e poi ero già in campo. Le due settimane che ci separano dal via non vanno proprio come sperato: una contrattura alla coscia mi frena un pochino e quindi parto alla prima seduta in panchina, ma ci sta. Ci sta, mi dico. Seconda e terza di campionato seduta ancora. Quarta e quinta parto nello starting six e vengo panchinata quasi subito. Non esattamente ciò che mi aspettavo, non quello che ero venuta a fare. La mia intesa con la nostra palleggiatrice era praticamente inesistente. Non ci riuscivamo a capire tecnicamente.
Fuori il rapporto era molto disteso come con tutto il resto della truppa, ma con indosso la canotta non ci veniva più niente.
A questi livelli il volley vive di centimetri, nano-secondi, intuizioni. E noi due non ci si trovava, neanche quando ci cercavamo. Se non ti trovi con la palleggiatrice, che tocca ogni pallone, allora sei in un mare di guai! I nostri caratteri in campo sono molto diversi: io cerco il dialogo, lei invece è un generale, una capobranco. possiamo provarla un pochino più alta e allora anticipa tu! Incomprensioni del genere erano all’ordine del giorno, ne soffriva tutta la squadra in campo e io mi innervosivo dentro e fuori dal parquet. Io tra l’altro possiedo una di quelle classiche qualità che non capisci mai se sono pregi o difetti: mi si legge subito in faccia quello che penso.
Settimana dopo settimana la mia insofferenza era diventata palese a tutti, avevo iniziato a pensare di cambiare aria e cercare una situazione tecnica più congeniale a me, ma sarebbe stato un passo indietro, che non è certo nel mio carattere. Spogliatoio, prima di un allenamento. Mi guardo allo specchio e respiro profondamente. E mi faccio una promessa. Una di quelle che è meglio mantenere o devi fare i conti con te stessa. Fino a che sarò qui, con questa maglia, io sarò perfetta. Gioco una, due grandi partite e poi me ne torno dai miei a godermi tre giorni di riposo.
Sentivo un’adrenalina in corpo mostruosa e la possibilità di staccare a casa mia mi ha rinfrescato muscoli, mente e cuore. Torno e metto in vetrina la miglior settimana da quando sono arrivata. Perfetta. Dura. Chirurgica.
La palla mi sembra storta? La metto a terra. C’è un contrattacco? Mi propongo per prima. Mi sento scazzata? Sorrido e riparto. Decido che mi metterò a disposizione, che me ne frego di che cosa mi aspetto io dalle altre ma mi concentrerò solo su quanto ho io da offrire al mio team. In ogni situazione. Voglio fare uno step mentale che mi metta oltre. Oltre le incomprensioni tecniche, oltre la difficoltà di esprimere il mio meglio, oltre la voglia di cambiare aria. Beast Mode on!
Mi chiudo in palestra, mi ubriaco di video. Riguardo tutto. Partite. Avversarie. Persino i nostri allenamenti. Il corpo percepisce che qualcosa sta cambiando e torna a brillare come al solito, il braccio viaggiava meglio e metto a terra decine di palloni. Click, interruttore schiacciato e scocca la scintilla: con la Skorupa è amore tecnico. Tutte le palle mi sembrano perfette. Aveva ragione il coach.. è bravissima. Mi sono adeguata ai suoi ritmi? Lei lo ha fatto ai miei? Che importanza ha? Nessuna.
Inizia a bastare uno sguardo d’intesa per trovarsi e lo facciamo con una continuità pazzesca. Seguono 2 o 3 partite con numeri eccellenti e sensazioni incredibili. Mi ha persino dato una palla magnifica per chiudere la Finale di Supercoppa italiana 2017. Set and match. Coppa in bacheca e affiatamento da copertina.
La nostra stagione poi si è spenta un passettino troppo presto, in semifinale. Ma da quando abbiamo raddrizzato la barca siamo filate via in un fantastico matrimonio tecnico. Con Mazzanti non siamo mai tornati a riparlare di quelle prime settimane. Non ce n’era bisogno. Per vincere, per eccellere serve gente di personalità e a volte aggiustare i piccoli dettagli è più difficile che spostare una montagna. Ma quell’inizio mi ha reso una leonessa. Mi ha spinto incredibilmente oltre i miei limiti e la mia sopportazione mentale e fisica. Il coach è andato in Nazionale, quello azzurro è un abito che gli sta a pennello (e anche a me!) e quest’estate l’abbiamo dimostrato insieme, fianco a fianco. La Skorupa è la migliore allenatrice in campo che abbia mia avuto, con i suoi modi bruschi che inizialmente ti sembrano una sfida e poi diventano benzina per migliorare e crescere; è andata a Novara e mi toccherà pure giocarle contro, mentre io difendo ancora i colori di Conegliano e se qualche compagna avrà bisogno di me in un momento negativo so già cosa risponderò: Non mollare bella mia, che gli esami non finiscono mai!
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