Samuele Papi: "Gioco ancora e agli sbarbati dico: ma non vi vergognate a farvi murare da uno di 43 anni?"

di Flavio Vanetti - Corriere della Sera Sport

06/10/2016

Samuele Papi in ricezioneSamuele Papi in ricezione
Samuele Papi in ricezione
Samuele Papi o, forse, Dino Meneghin? «Perché Dino Meneghin?»
Perché Dino lasciò il basket a 44 anni e lei continua, a 43 con Piacenza, a pestare palle da volley. «Sarei onorato di imitare Meneghin, ma per raggiungerlo serve che la stagione della Lpr non finisca prima del 20 maggio 2017: è necessario arrivare alla finale, o nei paraggi».
Esordio a 13 anni: 30 anni impensabili o preventivati? «Inimmaginabili. Il volley mi ha aiutato due volte: ha abbandonato il cambio palla per il rally point system, che ha reso le partite più veloci, e ha introdotto il libero, oggi ruolo perfetto per me. Però sono un minotauro, in realtà: a volte libero, a volte schiacciatore. Quel che serve, faccio».
Perché Papi si sbatte ancora tra partite e allenamenti? «Per passione e divertimento. Faccio fatica, ma mi piace ancora stare in palestra con persone più giovani di me. Mi fa sentire vivo».
Vive la competizione con gli «sbarbati»? «No: non posso più permettermi di giocare titolare, non sono né sprovveduto né egoista. Però mi diverto a prendere per i fondelli i più giovani. Dico loro: non ti vergogni a farti murare da uno di 43 anni?»
E i pivelli come replicano? «Io rido, loro incassano tranquilli. Lo sfottò è compreso nel prezzo. E nell’amicizia».
Il suo corpo come ha preso il fatto che lei prosegue? «Bene, grazie. Lo ascolto, lo consulto, gli do retta e nel caso mi fermo. Qualche dolorino di qua e di là, ma dal meccanico non mi spedisce. Collaboro: moglie e figlie vivono per lo più a Treviso, faccio vita da professionista integerrimo».
Lei che era stato un sex symbol del volley... «Mi faceva piacere. All’epoca non c’erano i social network e una ragazza che voleva farti capire che le piacevi mandava una lettera: ne ho ricevute tantissime, non sono riuscito a leggerle tutte. Come funzionava con le avances? Ne ho avute, certo; ma finiva lì».
Un Garibaldi del volley, eroe di tre ere del nostro volley: quale la migliore? «Tutte. Ma sono orgoglioso di aver assaggiato, seppur alla fine, quella della “generazione dei fenomeni”: Bernardi, Cantagalli, Bracci mi hanno insegnato parecchio. Nel mio cuore ho tutte le mie squadre, ma Treviso di più: capitano per 12 anni e poi ripenso che, dopo un ringiovanimento, non eravamo programmati per vincere subito. Conquistammo invece 4 scudetti di fila».
Faccia la hit parade dei suoi tecnici. «Impossibile e ingiusto. Ho avuto la fortuna di avere l’allenatore ideale per ogni fase della carriera. Il più rompiballe, invece? Direi Paolini, nelle giovanili. Ma anche Velasco non scherzava: però ti insegnava a restare sul pezzo».
È ingeneroso rinfacciare al volley azzurro di non aver mai vinto l’oro olimpico? «Sì: in 6 edizioni dei Giochi sono arrivate ben 5 medaglie e 6 semifinali. Una continuità che profuma di grandezza».
La finale di Rio 2016... «Non credevo che i ragazzi arrivassero così lontano. Ma una volta che ce l’avevano fatta, ero convinto che avrebbero vinto: il Brasile non era irresistibile come quello del 2004 e ci temeva. Il video check ci ha tolto due palle chiave? Vero: i tocchi c’erano stati».
Chance sprecata, però. «Sì. Ma la più dolorosa resta quella del 1996, me presente. Avremmo potuto e dovuto chiudere prima del tie break, dove tutto può accadere».
Chi, oggi, è Mister Volley? «Ivan Zaytsev: ha un’immagine dominante. Aggiungo Simone Giannelli: faccia tosta e carattere. Un Max Verstappen meno algido e più simpatico».
Il futuro azzurro com’è? «Vedo nubi nel ruolo di schiacciatore. Giovani, fatevi avanti. Un Papi, non altissimo ma dalla grande elevazione, non basta più: servono martelli di 1,95-1,98».
Un suggerimento per il nostro movimento? «Investa sulla Nazionale. E sfrutti, mediaticamente, Zaytsev e il beach volley».
Le due figlie sanno chi è Samuele Papi pallavolista? «Ho fatto vedere loro le immagini dei trionfi. E loro: “Ah, allora eri un fenomeno”. Eri, al passato...: per loro sono il papà che a volte non c’è. È tempo di pensare alla famiglia e al futuro: sono approdato a Piacenza a 38 anni, convinto di restarci al massimo per due stagioni; ora sono alla sesta».
Meneghin, a fine campionato, lasciava le scarpe nello spogliatoio: contava di ritrovarle al via di quello nuovo. «Non l’ho mai fatto. E non lo farò adesso: questa è davvero l’ultima volta. Passo e chiudo a 43 anni». O a 44...
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