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S'io fossi vino
S'io fossi vino
di Simone Serafini
28/05/2012
Simone Serafini
Simone Serafini
S’i fossi foco…così scriveva Cecco Angiolieri millenni fa, poesia ardimentosa, cattiva e dura, sublimemente portata in musica da un Poeta contemporaneo, Fabrizio de Andrè.
Ma s’io fossi vino? Che vino sarei? Nasce così l’idea di queste righe. Se io fossi vino? A cosa somiglierei?
Ma intanto…perché scrivo di vino? Ammetto che fino a qualche anno fa ne sapevo molto poco, per non dire nulla. Quando cominci ad assaggiare (ben diverso dal bere) il vino, all’inizio è complicato, perché non capisci veramente. Prendo a prestito una frase che ho trovato sul web. E’come fare ascoltare un pezzo di Coltrane a una persona abituata a brani commerciali. Non dirà “Dio, è insopportabile”, però non si convertirà improvvisamente, stregato dal jazz. Ci vuole tempo, abitudine, preparazione. Proprio i tre fattori ai quali mi sto affidando. E piano piano il mondo del vino ti affascina e ti attira a sé, sempre più completamente, sempre più morbosamente. Sempre più affascinante. Perché ogni vino è a sé, con una sua storia, con un suo gusto, con una sua forza e debolezza, ogni vino ti può parlare, sommessamente o urlando. Basta saperlo ascoltare. E quando ti rendi conto che stai bevendo non per dimenticare, ma per ricordare, allora vuol dire che il pezzo di Coltrane puoi apprezzarlo fino in fondo.
Ho giocato. Confesso che mi sono divertito a fare gli
“abbinamenti” squadre – vino
, partendo non da una qualche cosa concreta (anche se spesso l’idea è stata quello territoriale) ma lasciandomi andare alla sensazione, all’intuizione che mi procura una squadra e associarla al vino. O viceversa, una caratteristica del vino mi ha fatto pensare a una squadra. D’altronde il grande fascino del vino è proprio quello, di giocare con le sensazioni, di stimolare olfatto e gusto ma anche la vista per trascinarti lontano, per farti evocare ricordi sopiti, per farti ricordare paesaggi e scenari, eventi e persone. Così giocando e scrivendo ho abbinato un vino a ogni squadra. Con la speranza di farvi divertire e, perché no, conoscere qualcosa sul vino che non sapevate!
Trento
è perfetto, come il Ferrari delle sue terre.
Ferrari
, il nome una garanzia, anche se qui non c’entrano i motori. Qui sono le bollicine a farsi perfezione, bollicine di qualità, esportate in tutto il mondo, simbolo dell’Italia del vino, dello spumante a metodo classico italiano. Una scelta aziendale nell’eccellenza, come Trento del volley. Solo il meglio. Prima Kazisky, poi Juantorena, insieme a tutti gli altri giocatori, staff e società per vincere tutto o quasi, in Italia come in Europa e nel mondo.
Ravenna
? Verrebbe da dire il
Sangiovese di Romagna
. Ma il Sangiovese non è un vitigno autoctono di quella terra. Certo, si identifica spesso con la Romagna dove ha grande sfruttamento, ma il Sangiovese è alla base di tanti e tanti vini sparsi in Italia, non ultimo dell’ottimo Chianti toscano. Accosterei Ravenna a un’indigena
Albana
. Vitigno proprio di quella terra, fresco e immediato quello romagnolo, senza compromessi. Ravenna ha sposato una linea, è andata avanti fino alla fine. Così il vino. Franco, si dice di vino che nel bicchiere esprime la caratteristica peculiare dell’uva e della sua terra. Non a caso Ravenna si è affidata a tanti autoctoni. Sirri, Tabanelli, i coach Babini e Pascucci, Bendandi, Mengozzi, e consideriamo anche Moro e Corvetta, trapiantati da qualche anno in Romagna. Finendo a testa alta il suo campionato di serie A1, tra un grande pubblico.
Cuneo
è nelle facce austere di Grbic, Mastrangelo, Wijsmans. Quindi non può non essere un
Barolo
. Grande vino. Chi lo descrive organoletticamente scriverebbe vino di gran struttura, caldo, tannico, complesso al profumo e al gusto. Tradotto è un vino maestoso, che ti trasmette stabilità, sicurezza. Si può gustare in gioventù, grazie al suo sapore decisamente fruttato e alla sua acidità. Ma il Barolo migliora decisamente con l’invecchiamento. Un lungo invecchiamento, piano piano, lento e prolungato, dove può esprimere tutto il suo potenziale. Cuneo è così. In gioventù ha sfiorato lo scudetto con gli emergenti Pascual e Papi. Ma come il Barolo, il meglio lo ha ottenuto dopo venti anni, andando a vincere uno scudetto con i Grbic, Nikolov, Mastrangelo, Wijsmans. Da giovane emergente degli anni novanta alla Grande Signora del volley della seconda decade del XXI secolo. E stabile nei suoi fedelissimi appassionati, che contornano ogni partita in quel di Cuneo proprio come un bicchiere di Barolo. Da gustare, da degustare lento, fino alla fine.
Vibo Valentia
sarebbe troppo facile identificarla nel
Cirò
, il vino calabrese più conosciuto a livello nazionale. Allora vi consiglio una Doc sempre calabrese,
Donnici
. Costituita dal vigneto autoctono
Gaglioppo
, localmente detto
Magliocco
, è la varietà d’uva predominante in Calabria. Produce un vino alcolico e robusto. Robusta come la caparbietà di Pippo Callipo, imprenditore autoctono, che ha portato la sua Vibo e la Calabria intera ad essere una certezza, una realtà concreta e stabile nel panorama del volley italiano. Il Gaglioppo potremmo epigrafarlo come il legame indissolubile tra la storia, il territorio e il lavoro dell’uomo. Parole calzate a pennello per la passione e la volontà di Pippo Callipo e di tutta la Calabria.
Macerata
è tutta nel
Verdicchio
. Dalle Marche all’Italia e all’Europa, cerca la definitiva consacrazione. Di chi sto parlando, del vino o della Lube? Di entrambe. Il Verdicchio ha impiegato del tempo per uscire dal locale. Per affermarsi. Da vino “semplice” a vino “grande”, dalle piccole cantine locali alla produzione che ormai vanta un ottimo export. Mantenendo però sempre le peculiarità locali. I commenti di quelli che se ne intendono recitano del Verdicchio che è un vino di razza. Va bevuto giovane o invecchiato. La maturazione non fa perdere freschezza e fragranza al Verdicchio. Macerata ha infatti investito sul locale e giovane (Savani, Travica, Parodi, Kovar, e per il prossimo futuro anche Zaytsev) che matureranno, ma già prontissimi per affermazioni italiane (infatti è arrivato lo scudetto!) e si spera nell’immediato futuro anche europee.
Un po’ di enolezione. Se leggo su un’etichetta “Ripasso della Valpolicella” cosa significa? La
Valpolicella
è una Doc (Denominazione di Origine Controllata), vale a dire una zona di produzione di vino precisa e delimitata da un disciplinare (nello specifico la zona della Valpolicella è un’area comprendente 19 comuni della provincia di Verona). L’uvaggio è un “taglio” (ossia vini da diversi uve, mentre quando il vino viene da un solo vitigno si dice “in purezza”) di
Corvina veronese
(dal 40 all’80%),
Rondinella
(tra il 5 e 30%) e altre uve a bacca rossa non aromatiche della zona. Uno dei vini prodotti è chiamato
Ripasso
, perché ottenuto con una leggera rifermentazione dei vini Valpolicella sulle vinacce residue dei vini passiti
Recioto e Amarone
(altre due tipologie di vini della Valpolicella). L’Amarone in particolare, vuole la leggenda, nacque da un errore, perché fu tenuto troppo tempo per sbaglio dentro una botte e ne venne fuori un vino secco e caldo con un gusto intensissimo di frutta matura. Un invecchiamento non voluto ma che ha donato al vino la perfezione. Non vi sembra la descrizione del
Verona Pallavolo
? Un taglio equilibratissimo e armonico di più tipologie (il bomber Gasparini, la spalla concreta Popp, la gioventù esplosiva di Patriarca, la maturazione di Kromm, la saldezza di Bagnoli) il tutto “ripassato” nella solennità “invecchiata” di Meoni.
Dici
Monza
e pensi
Montichiari
. Nel trasloco non puoi non passare per le splendide terre della
Franciacorta
. Neanche a farlo apposta, vino e squadra sono uguali. Non è forse giovane, profumato, effervescente tanto il vino quanto il team? Il Franciacorta nel suo abito elegante e profumato, che sa di pane appena lievitato e ananas, antiche bollicine ma giovani, fresche. Come Monza, con tutto il peso della storia del Montichiari che fu, ma non smoking e gilè bensì jeans e new design nel gioco dei vari De Cecco, Facundo Conte, Rossini. A proposito del Franciacorta, Cipresso e Negri scrivono che il “Nuovo contiene l’Antico”. Pennellata valida anche per Monza-Montichiari. Non trovate? (non me ne voglia la famiglia Gabana, che produce vini diversi. Ma l’identificazione con il Franciacorta era troppo invitante!)
C’è una zona dei Colli Piacentini in cui si è “creato” un vino un po’ diverso da quello che la suddetta zona produce e con cui l’immaginario collettivo identifica appunto i
Colli Piacentini
. Zona che si pensa sia adatta solo a vini vivaci e da bere subito, tipo il
Gutturnio
frizzantino o qualche bianco, sempre frizzante, da aperitivo. Nulla da invecchiamento, nulla di particolarmente nobile. Ma non è così. Un’azienda vicino Rivergaro, a due passi da Piacenza, ha osato, è andata controcorrente, ha azzardato. E ha avuto ragione. La sua
“Macchiona”
ha una grande intensità, un ottimo tannino non fastidioso che con il passare del tempo si arrotonda ancora di più, un grande equilibrio. Piacenza di volley aveva osato in estate. Puntando sul non più giovane Papi, su un Nikolov dato per finito, sulla scommessa (in Italia) Zechov. Ha faticato, e molto, all’inizio. Poi, come la Macchiona, è diventato equilibrato. E forte, intenso, e con il passare del campionato si è “arrotondato” sempre di più, sempre meglio. È stata la migliore nel girone di ritorno, ha prodotto una buonissima pallavolo, nobile e ferma e concreta. E’ stata stoppata solo da Cuneo nei playoff. E forse il prossimo anno potrebbe anche aggiungerci un ingrediente cubano in più…
Potrei stare qui ore a scrivere righe su righe su cosa è il vino a
Roma
, anzi cosa è stato il vino a Roma da sempre. Nell’antica Roma, bevanda sia popolare della plebe che ricercata nei palazzi patrizi. Ma anche simbolo di Roma Imperiale, il tralcio di vite come bastone dei centurioni, Roma Caput Vini che ha esportato la vite in tutta Europa anche come simbolo di forza, di stabilità nelle zone conquistate. Nella Roma del Marchese del Grillo, l’osteria, i vini “beverini”, il vino de li castelli, la passatella* tra amici. Gli stornelli, la goliardia dei romani. Roma è vino, da sempre e per sempre. Una leggenda possiamo agganciare con la pallavolo. Il celebre
Est! Est!! Est!!! di Montefiascone
, nel viterbese, si dice debba il suo nome a un avvenimento nel 1100 o giù di lì, quando il vescovo Johannes Defuk, appassionato di vino e al seguito di Enrico V di Germania, mandava il fido coppiere Martino in avanscoperta nella sua discesa verso Roma per segnare con Est! un buon vino. Est, cioè è, è buono. Giunto a Montefiascone, il degustatore rimase così incantato da quel vino da marcarlo con Est! Est!! Est!!!. Tre volte È, tre volte Buono. È la Roma di
Mezzaroma
, che ha riportato il volley d’altissimo livello nella Capitale dopo le tante esperienze anche vincenti del passato (Federlazio, Ariccia, Lazio, Piaggio). È la Roma ritrovata dalla A2 dopo propositi di abbandono, rilanciata in A1 con Giani, che inventa e proietta Zaistev schiacciatore ottimo anche per la Nazionale. È la Roma che sarà, magari ridotta di budget, magari ridimensionata, ma che ci sarà, perché a Roma la pallavolo deve esistere, non può non esserci. La Roma c’è. Come il vino, da sempre e per sempre, in saecula saeculorum.
Ammetto che ho trovato un po’ di difficoltà nell’accostamento. Non riuscivo a trovare un aggancio, un appiglio, una sensazione che mi potesse far collegare Latina a un vino. Poi, un lampo. Le facce dei protagonisti. La Serenità del Professor Prandi, comandante di lungo corso, che niente può scalfire, che affronta ogni avventura con mirabile calma e consapevolezza appunto serena. La Serenità di Sottile, capitano e guida in campo, nel giostrare i suoi dando l’impressione che la sorpresa del campionato era sorpresa solo per gli altri, che loro, Latina, erano ben consci della loro forza. La Spensieratezza dei giovani e dei quasi esordienti nelle anime di Gitto, Cester, De Pandis, Jarosz. Ecco l’aggancio.
Latina
è uno
Chardonnay
. Vino mirabile, vitigno che si adatta a parecchi ambienti e climi e produce un nettare bianco eccelso. Un vino sereno che regala serenità e spensieratezza, che fa il cuore leggero. Come la pallavolo di Latina nella stagione appena conclusa.
Secoli di fatica. Così viene mirabilmente descritto il
Barbera
in “Vinosofia” di Negri e Cipresso, da cui ho attinto varie informazioni. Descrizione perfetta anche per
Padova
. Così come il vino, che parte sì dal Piemonte per espandersi in tutta Italia, addirittura 300 i vini diversi prodotti dallo stesso vitigno, che regalano un vino vivo al gusto, morbido, schietto. Che ti accompagna o meglio è di compagnia in ogni tuo momento della giornata e della vita, è il vino “delle storie da osteria”, è il “cane fedele”. Padova è sempre presente nella lunga nostra storia pallavolistica. Mai sopra o sotto le righe, sempre sincera, sempre viva. Con difficoltà, con umiltà, con tenacia, Padova è un monumento del volley italico, annaspa ma non demorde. Ha attraversato tutti i momenti della storia pallavolistica, dal medioevo degli anni ottanta ai fasti sfarzosi di fine secolo, ai ridimensionamenti e aggiustamenti della prima decade del 2000. Padova sempre lì, salda, ferma, “cane fedele” del volley qualunque direzione prendesse. Doveroso chiudere con le parole di un Poeta vero*: “generosa Barbera / bevendola ci pare / d’esser soli in mezzo al mare / sfidanti la bufera”. Padova, appunto.
Sarà anche che è diventato tanto di moda e commerciale da essere identificato e chiamato così qualunque vino che gli somigli. E’ diventato il vino che tutti bevono perché lo bevono tutti, perché se il primo lo ordina lo prende anche il resto della compagnia, a ruota, senza pensare a cosa veramente uno sta per bere. Il vino di ogni ora, ossia giusto per l’aperitivo ma anche per un pasto leggero a qualunque ora, giusto per ogni compagnia, per un brindisi a due o tra amici. Eppure il
Prosecco
è unico, ben definito, tipico. Delicato e asciutto, giustamente acido, amarognolo ma armonico. La Sisley Treviso era unica. Ha fatto la storia del volley italiano. Ha mantenuto un pezzo di nome e si è trasferita a Belluno. È diventata la squadra di più città, di più tifosi, ma in fondo
Sisley Treviso
è sempre stata la squadra di tutti. Simbolo dell’Italia volleystica quando imperava dentro e fuori in giro per l’Europa, asse portante di tante nazionali azzurre. E anche il Prosecco si è allargato, diventando patrimonio di tutto il NordEst*. Probabile la chiusura di
Belluno
, ma noi che siamo romantici ci rifiutiamo di crederlo, di accettarlo. Come il Prosecco, ormai vino di tutte le ore, di tutte le compagnie. Un Prosecco è per sempre. Perché non deve esserlo la Sisley?
Definizione: itinerante che cambia nome ma rimane lo stesso. Nel volley la risposta sarebbe Umbria Volley. Attualmente
San Giustino
, ma prima Castiglion del Lago, poi Perugia. Dalla serie B alla Challenge Cup passando anche per una finale scudetto. Cambiando anche il nome dello sponsor, prima Pet Company, poi Rpa, ora Energy Resource. Ma in fondo sempre la stessa società, sempre le stesse persone. La risposta vinicola alla definizione in alto invece è
Zinfandel. O Primitivo di Manduria. O Crljenak
. Già, perché, anche grazie a studi sui vitigni comparando il Dna (stile C.S.I., ma qui per fortuna parliamo di vini e non di morti), si è verificato che questi vitigni, in apparenza lontani tra loro specialmente territorialmente, invece provengono tutti dallo stesso ceppo. Anzi, proprio dallo stesso vitigno. Dalla Croazia alla Puglia alla California. Secoli di storia e soprattutto di viaggi hanno portato la stessa vite agli angoli più lontani della terra, hanno cambiato o storpiato o inventato il nome, ma in fondo, come CastigliondelLago-Perugia-SanGiustino (e si parla di fusione con CittàdiCastello), tanti nomi, è vero, ma una sola entità.
Modena
non può non essere il
Lambrusco
. Modena è patria del Lambrusco (anche se, magari i più non lo sanno, ma ci sono più tipologie di Lambrusco…e guai a confonderle!!), tanto è vero che per chi arriva nella città emiliana da sud non può non vedere il grappolone d’uva in mezzo alla rotonda di via Vignolese.* Modena e Lambrusco, binomio inscindibile. Modena volley come il Lambrusco. Vino famosissimo, vino simbolo, vino che esiste da sempre, come la Juve nel calcio, come Modena nella pallavolo. Vino di ogni famiglia, vino di Don Camillo e Peppone, simboli per eccellenza di un’Italia di una volta ma neanche troppo lontana nel tempo. Vino che qualche anno fa era stato un po’ snobbato, perché troppo poco “in”, troppo poco “fighetto”, troppo contadinotto, di basso profilo. Niente di più sbagliato. Perché il Lambrusco è qualità, è tradizione da recuperare e continuare e non dimenticare. È nato qualche anno fa un Consorzio del Lambrusco proprio per rivalorizzare questo vino. Lo stesso percorso della pallavolo nella stessa città. La Juve della pallavolo, la storia del volley italiano in Italia e in Europa, l’ultimo scudetto ormai nel 2001. I tentativi di tornare ai vecchi fasti, di tornare a vincere. La tradizione che avanza.
E io?
Alla fine io, che vino sarei? Mi darei del
Merlot
. Perché il Merlot è un comprimario, un gregario, o se vogliamo un Figaro, factotum. Indispensabile per il “signor” Cabernet Sauvignon nel taglio di uno dei vini più apprezzati al mondo, il Bordeaux. Il Merlot sempre pronto ad aggiustare i difetti e le durezze del padrone, il soccorso (zuccherato e rosso) per tutti i vignaioli e per tutti i vini. Che irrobustisce il prodotto finale. Vitale anche se poco appariscente. Certo, il Merlot forse un po’ è complessato. Indispensabile, allegro, gioviale, vivo. Ma sarà sempre l’eterno secondo, rimarrà sempre cadetto. Anche se il Merlot, in un habitat particolare, più piccolo, più umile (l’altra riva della Garonna), può diventare eccelso, e padrone di se stesso.
*il Poeta della poesia sul Barbera (o si dice la Barbera? Quesito ancora irrisolto) è Giosuè Carducci.
*La passatella è un gioco da osteria che ha le sue origini nella Roma antica (ne parlano Catone ed Orazio), e divenne parte della tradizione romanesca nella Roma dei Papi. Per la “modalità” chi vuole può linkare http://it.wikipedia.org/wiki/Passatella
* Il monumento in via Vignolese a Modena è un capolavoro di Erio Carnevali. 12 metri di altezza, largo 6 metri e più nella parte superiore, 240 chicchi d’uva di diversa grandezza in vetro di Murano.
*Se avete voglia http://www.lavinium.com/editoriali_2012/cergoli_bolle_di_prosecco_e_promesse_da_marinaio_2012.shtml).
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